Ariete è Arianna, una giovanissima cantautrice di Anzio che negli ultimi anni ha costruito tassello dopo tassello le fondamenta per la sua carriera musicale. Cresciuta e diventata nota in pieno periodo di pandemia, è ora impegnata nel tour per Specchio, il suo primo album, dopo l’ultima uscita col singolo TUTTO (con te). Parafrasando lo slogan di una pubblicità iconica, siamo passati da una promessa a una solida realtà.
In occasione della sua data del tour al Flowers Festival di Collegno (TO), ho scambiato due chiacchiere con lei e mi ha trasmesso molto della persona/artista, che in lei coincidono perfettamente. Dall’affetto che prova verso il suo pubblico, all’impegno e alla ricerca per migliorarsi, vengono fuori le motivazioni per cui è passata da astro nascente ad avere il suo posto nelle costellazioni della scena italiana.
Buona lettura!
Prima di cominciare: Ariete: biografia e discografia
Ciao Ariete, benvenuta. Oggi per il Flowers Festival è la prima volta che capiti in live a Torino, come ti senti?
Sì, Torino è la prima volta, dovevo farlo a marzo però poi è saltato per CoVid e quindi ora ho questo recupero, non vedo l’ora sono contenta e carichissima.
Tu forse eri già passata in Piemonte con un live ad Asti
Primo live in assoluto in vita mia! Primo concerto di Ariete con un pubblico e dei biglietti venduti ed è stato l’anno scorso ancora in periodo CoVid
Sono passati qui anche gli Psicologi due settimane fa…
Sì infatti mi hanno detto che è fighissimo questo palco, che la gente è carica e ho visto che si sente bene l’acustica infatti sono carichissima.
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Hai qualche rito prima di salire sul palco? Come ti prepari?
A dir la verità sono molto tranquilla, quindi saluto la band, i miei amici, la gente che lavora con me ma non faccio cose particolari, non bevo, non fumo, non faccio nulla. Mi carico un po’ ma la grinta vera me la prendo sul palco, non sento il bisogno di fare nulla neanche a livello scaramantico perché mi sento molto in confidenza con il palco, mi sento pronta ed è una cosa molto bella. Vado tranquilla e capisco il mood con le persone, e comincio a instaurare un rapporto con loro durante la sera.
Parlando di rapporto col pubblico, nei tuoi live lo coinvolgi parecchio e fai salire sul palco chi ha un vero messaggio da condividere. Come ti senti quando c’è questo tipo di condivisione?
Ho deciso di farlo per tutte le date di quest’anno, quindi lo vedrai anche stasera! Prima di un mio brano che suono acustico, chitarra e voce, chiamo due o tre ragazzə sul palco. Ovviamente tutto casuale e ci sono delle volte in cui ci sono delle storie super travolgenti, però ci sono due regole principali: essere brevi e raccontare qualcosa di veramente importante. C’è chi fa coming out, chi ricorda una persona che non c’è più, chi si dichiara al migliore amico, chi chiama i genitori, chi parla di problemi che ha avuto ed è molto bello.
Come ti senti in questi momenti? Dai l’opportunità di parlare a tante persone che magari hanno anche storie simili
Esatto, penso sia un momento molto importante. Penso che i concerti siano tutto tranne che “entro, canto e me ne vado”. Mi sono divorata i concerti da spettatrice, andavo in fila alle 6 e facevo amicizia in coda, passando la giornata con persone nuove. Mi sentivo molto vicina alla persona che cantava per me il concerto è come andare al parco giochi, è un momento ricreativo e va molto oltre alla musica.
Voglio che un mio concerto sia un momento in cui scambiare idee, in cui siamo tutti uguali e rispettosi, infatti in 12 date non mi è mai capitato che mentre qualcuno raccontava la sua storia qualcuno interrompesse, urlasse o ridesse, quindi questa è una prova di grande rispetto e senso di comunità dentro al live.
Prima hai detto che ciò accade prima di un brano in particolare, quale e perché?
Il momento è prima di Venerdì perché l’anno scorso prima di questo brano facevo un discorso in cui parlavo dell’amore. É uno dei brani più intimi che ho e se prima parlavo delle mie esperienze, ora faccio salire i ragazzi e sedere accanto a me mentre canto Venerdì. Poi dico “io vi racconto sempre le mie esperienze, raccontatemi voi una vostra storia”, chiamo solo 2/3 persone quindi è anche un momento di panico ma stiamo capendo come gestirla bene.
Negli ultimi tempi la questione della preparazione live è stata al centro di un grande dibattito. Mettendo da parte le facili polemiche, sei cresciuta come artista in un momento in cui i live non erano strettamente parte della vita del musicista, come li hai approcciati e come ti sei preparata?
Andare a tanti concerti mi ha aperto la mente, il mio primo giorno di prove dell’anno scorso avevo già scritto la scaletta e sapevo già come fare determinate cose. Ho un senso dell’organizzazione dei live un po’ innato, ma perché ne ho visti tanti, da artisti indie italiani ad artisti pop giganti e mi sono fatta un’idea col tempo. Ogni volta che andavo mi dicevo “se mai farò un concerto, se mai farò la cantante questa cosa la voglio fare molto simile, questa non mi piace”. Riesco a ragionare anche da spettatrice, pensando “se fossi spettatrice del concerto di Ariete, mi piacerebbe o no?”, e sono molto soddisfatta di come il live viene su, a livello di luci, scaletta ed atmosfera, più dell’anno scorso, anche perché c’è anche un disco, c’è dietro un team più grande.
Nei tuoi concerti vari tra brani vecchi e nuovi. C’è un criterio particolare per la scelta dell’ordine dei brani in scaletta?
I brani di Specchio li suono tutti, mentre quelli degli altri anni, suono i più famosi come Amianto, Mille guerre, Solo te, Diciotto anni, Venerdì, Quel bar. Il live parte a palla poi c’è un momento chitarra e voce in cui suono Quel bar e Venerdì e poi si entra nella parte più intima in cui canto Amianto, Pillole, Cicatrici, Spifferi piano e voce e Iride e poi esco e chiudo con Castelli di lenzuola e 18 anni per riaccendere un po’ il mood e chiuderla tutti presi bene, con l’ultimo pezzo si salta.
Quindi la dinamica va su, poi scende nei brani più intimi e risale. Mi piace come è strutturato, secondo me i ragazzi che collaborano con me, la band e i ragazzi di Bomba Dischi, sono stati bravissimi a dirmi come sistemare ed è uscita una cosa figa. Poi mi dirai anche tu.
In una nostra precedente intervista con te avevamo parlato, per un artista emergente, del fare più EP prima di intraprendere il percorso di un album. Cosa ti ha fatto dire “è il momento”?
Beh ormai comunque avevo fatto un tour e due EP che erano andati bene e sentivo proprio il bisogno di fare quello step dove esce il primo disco di Ariete con più pezzi, un vinile, un tour del disco. Gli EP alla fine sono un campo di prova, ti metti lì per farti conoscere: il primo è pura conoscenza, il secondo è più c’ero, continuo ad esserci e poi con l’album devi sottolineare che ci sei e spero di averlo detto. È un po’ come fare 18 anni ed entrare nel mondo dei grandi.
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L’esperienza della prima tournee ti ha insegnato qualcosa anche in fase di lavorazione dei brani?
Non sono una di quelle che scrive sempre. Durante il tour ho scritto Spifferi, però per me il momento del tour è sacrosanto e devo concentrarmi solo su quello perché le date sono tantissime e non ho il tempo materiale per chiudermi in studio. Secondo me molte cose arrivano a scoppio ritardato, sto ancora facendo tesoro di cose che mi sono successe l’anno scorso e quello prima. Sicuramente un brano che scrivo tra due mesi avrà o spunto di una data dell’anno scorso o di quest’anno.
Ho imparato e sto imparando molto a come gestire il palco e il pubblico, tra l’anno scorso e quest’anno non ho avuto vie di mezzo tra i live con le sedie e live a Milano con 7 mila persone alla prima data.
Ci sono dei live dove stare seduti è comunque bello, come quello di Lorde a Roma perché era molto intimo, il pubblico era anche adulto, mi sentivo felice perché ero seduta nella platea dove nessuno mi conosceva. Quest’anno è anche un live più dinamico, l’anno scorso il brano più energico era 18 anni ma tralasciando questo era un concerto che si poteva affrontare già più da seduti.
Primo disco, vent’anni, sei alla fine di una piccola era e all’inizio di un’altra: 3 obiettivi di questo nuovo percorso?
Sicuramente voglio scrivere un altro disco e prendermi anche la calma del mondo per farlo, non troppa perché sento l’esigenza di andare in tour e fare dei concerti all’interno – nei club o palazzetti – perché non ne ho mai fatti. Voglio espandermi ad un pubblico nuovo, farmi conoscere di più e scrivere anche cose nuove, insomma uscire dalla comfort zone, con questo disco ho iniziato ma voglio continuare a farlo perché ciò che stimola il processo sono le cose nuove e non è mai divertente abituarsi.
C’è un brano che per ordine cronologico o per significato, ha sancito questo passaggio alla dimensione disco?
Secondo me già quando è uscito l’EP 18 anni la voglia di cambiare stile sotto alcuni punti di vista si è notata, il brano stesso 18 anni è un pezzo che se avessero detto all’Arianna che ha scritto Quel bar, “tu scriverai quel pezzo come 18 anni”, io avrei detto di no. Spazio è intimità, chitarra, piano, io pischelletta. Poi 18 anni è un po’ Spazio e un po’ “so e voglio fare anche altro”, mentre il disco è proprio il dualismo tra questa roba a 360 gradi. Rimane qualcosa di Spazio come Spifferi e Specchio (interludio) ma anche qualcosa di nuovo come Giornate Noiose, Avviso, e Iride che tocca dei suoni nuovi anche a livello melodico nel mio repertorio. Sono contenta di fare questo passaggio.
E a livello stilistico e musicale si sente la crescita rispetto ai progetti precedenti, dal tuo punto di vista in cosa ti senti cambiata?
Ascolto tanta musica e ne parlavo con Alberto, il mio manager, stavamo ascoltando il disco di Harry Styles e mi dice “questa non è roba che vai a caso e scrivi un disco così bello, cerchi dei suoni e ti ci impegni”.
Fai ricerca ed è quello che ho iniziato a fare con questo disco e voglio fare ancore di più con il prossimo. Io sono una che vomita tanto idee, melodie, frasi, però a scrivere una canzone sono impulsiva ma anche precisa, se sento che qualcosa non arriva al 100% ma al 99%, viene scartata.
Questo perché so che siamo tanto distanti dal pop mondiale, voglio fare un salto e non vedo l’ora di farlo e mettermi a fare una ricerca dietro perché è un lavoro che non si fa senza impegno. Il talento deve coesistere al lavoro e alla voglia di fare, sennò non esiste nulla.
La cover di Specchio mi ha colpito molto, col passaggio da grafiche più lo-fi, ricche di elementi e foto a una ben definita con solo te al centro. Com’è nata questa cover?
La cover l’ha scattata Ilaria Ieie, mentre l’artwork è di Valerio Bulla che ha curato sempre tutte le mie grafiche. Questo disco parla veramente tanto di me, mentre Spazio e 18 anni parlano anche ad altre persone e di storie con altre persone, con questo mi sento di parlare di me. Spifferi parla della mia rottura più grande con una mia ex, ma non è quella la parte principale: sono io che mi auto flagello perché mi sento in difetto perché ho fatto delle cazzate, stessa cosa per ciò che dico in Specchio (interludio).
Ci sono pochi brani in cui parlo di qualcun altro, anche in Avviso parlo della mia esperienza, “io mi innamorerò di te…” parlo a qualcuno si ma è sempre un reminder per me stessa, è una cosa molto più consapevole ed è proprio questo il passaggio in cui dico che mi sono guardata allo specchio anziché sempre e solo intorno.
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Sempre nella cover indossi un abito grigio curato da Aries Arise: come mai questa scelta?
Va chiesto alla stylist, ti posso solo dire che ha spaccato perché quel vestito è fighissimo. Tra l’altro l’ho messo anche al concerto di Roma dell’anno scorso all’Auditorium e avevo già in mente il disco e stavamo chiudendo tutta la lavorazione. La scelta è stata di raffigurarmi in maniera chiara, dritta, precisa e naturale.
In Spifferi fai diversi riferimenti al mondo degli adulti, cosa vuol dire per te essere adulta e che tipo di adulta vuoi essere?
Sotto certi punti di vista non mi trovo così distante dal mondo degli adulti, però sento che posso ancora fare le cazzate perché sono ancora scusata dal fatto che ho 20 anni. Già a 35 anni, se hai un figlio, un compagno/a, per via dei costrutti sociali non puoi più fare cazzate… La frase in cui dico sbattevamo le porte solo per voler essere un po’ più grandi, come due adulti che vivono male, è una frase che ricollego ad una mia situazione familiare, in cui c’è sempre stata poca comunicazione: magari capitava che mio padre sbatteva le porte e non voleva parlare, non c’era mai un confronto.
È una cosa classica, tante volte più cresci e più torni bambino, da anziano riprendi il bisogno di attenzione di un bimbo di 6 anni. Sbatti le porte, fai le cose che fanno i grandi e poi però ti rendi conto che in realtà non è una cosa per cui stravedere, anzi più ci giri intorno e meglio sto.
E sbattevamo le porte solo per voler esser un po’ più grandi
Ariete – Spifferi
Come due adulti che vivono male
Ma siamo piccole gocce nel mare
In Harry Potter c’è lo specchio delle Emarb/Brame che fa vedere a chi vi si riflette i suoi desideri più nascosti: se tu ti specchiassi al suo interno, cosa vedresti?
Una tavolata piena di persone che mi vogliono bene che si fanno una cena sul terrazzo di casa mia, vedrei anche me su un palco, il tavolo dell’ufficio in cui prendiamo le decisioni, la mia famiglia e il mio cane in salute, tutti che stanno bene. Non vedo nulla oltre ciò, né successo, né soldi perché se tutto ciò che è alla base funziona bene, arriva anche il resto.
Nella nostra prima intervista parlando di Amianto avevi detto una frase che ai tempi mi aveva colpito molto: Penso che l’amore alle volte sia più forte della consapevolezza che ci si stia facendo male.
Ti rifaccio una domanda fatta allora: come si fa ad andare avanti quando tutto ti crolla addosso?
Fregandotene perché tutti avranno sempre qualcosa da dire su di te. Nel rispetto di tutti, si cerca di non far cadere nulla addosso e a una certa pure sbattendocene di ciò che hanno gli altri da dire. L’obiettivo è stare bene con sé stessi. Io ho capito questa cosa perché da quando non vivo più coi miei ad Anzio ed ho la mia routine, la mia stabilità economica, ho imparato a volere pure più bene alla mia famiglia che era uno dei calli principali e questo solo trovando un modo per stare bene con me stessa. Era la cosa che mi crollava addosso sempre e ora è un punto di forza, diventato tale perché me ne sono fregata e sono andata dritta al punto.
Conclusioni
Si chiude così la mia chiacchierata con Ariete che, qualche ora dopo, è salita sul palco e ha infiammato il Flowers Festival. Se alla fine dell’intervista ero rimasto contento e soddisfatto, vedere e sperimentare dal vivo la cura nella preparazione del live e nel rapporto col pubblico mi ha permesso di ricollegare molte cose dette. Se non sei mai stato/a a un live di Ariete, beh ti consiglio caldamente di provarlo.