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Interviste

Coma Cose: il loro Meraviglioso Modo Di Salvarsi

Coma Cose: il loro Meraviglioso Modo Di Salvarsi

I Coma Cose sono un duo unico nella musica italiana, non tanto perchè siano una coppia di fatto nella vita; il progetto composto da Fausto Lama e California nasce nel 2016 grazie ad una sincerità e ironia disarmanti, veicolata dalla voce sottile di California e dai giochi di parole di Fausto, conquistano Milano prima e tutta l’Italia poi, arrivando fino alla partecipazione (e consacrazione definitiva) a Sanremo.

Il loro nuovo disco Un meraviglioso modo di salvarsi unisce influenze musicali svariate all’esperienza accumulata in questi anni di carriera, senza dimenticarsi di ciò che ha permesso loro di conquistare il cuore dei fan.

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Che differenze ci sono state a livello di processo creativo per questo album rispetto ai precedenti?

California: Per questo disco abbiamo un po’ cambiato la formula, per darci nuovi stimoli, Fausto di solito parte dai testi e poi ci aggiunge la melodia, a questo giro ha invertito il processo.

Siamo partiti molto dalla musica, forse per la prima volta; avevamo anche un tot di basi pronte, che poi ovviamente abbiamo scartato e abbiamo ricominciato. Però sì, prima la musica e poi i testi, una grande rivoluzione per noi.

Come vi siete divisi i compiti nella composizione della musica nel disco?

Fausto: Fondamentalmente è dal giorno zero che mi occupo io del confezionare i brani; lavoro con Mamakass, duo di produttori. L’approccio primordiale come diceva Francesca è cambiato, l’aspetto tecnico e creativo è quasi lo stesso. Sentivo bisogno in questo disco di riappropriarmi della mia dimensione di musicista, chitarra, pianoforte, sintetizzatori, ho riscoperto il piacere di lavorare sugli strumenti, dopo che mi ci ero un po’ allontanato.

Dopo aver realizzato il provino mi ritrovo con Mamakass, aggiungiamo i vari layer e strumenti, per poi limare le parti vocali, la tonalità, con Francesca. C’è molta libertà, un piatto comune dove vengono messi tutti i nostri colori, che sono sempre quelli, e poi di volta in volta mescoliamo diversamente l’amalgama.

Non lavorando con dei beatmaker ma dei produttori, non avrebbe nemmeno senso andare troppo avanti nella produzione, dopo averla cantata si aggiungono altri layer di modo che la melodia vocale si sposi con l’arrangiamento, altrimenti è una forzatura.

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Quali autori hanno ispirato il pensiero di questo album, a livello filosofico/concettuale ed a livello musicale?

F: Non saprei dirti, viene sicuramente da una necessità nostra, arrivati ad un punto dopo tanti anni, dopo Sanremo e il tour, si sa che quando finisce un ciclo ci si ferma e si ricaricano le pile. Io in realtà ho ascoltato tanta musica strumentale, tanta New Wave; New Order in primis, CCCP (quindi anche italiana), i Cure, i collettivi, LCD SoundSystem, Flaming Lips, Talking Heads

Musica estera, in Italia è stato sicuramente il grande anno di Marracash. Quel disco lì, che è coinciso con l’inizio del nostro processo creativo a me ha dato una bella energia, ho sentito delle cose che da tempo non sentivo su di un disco importante.

Ho pensato wow, e dato che questo disco è stato iper-premiato mi ha reso felice che ogni tanto vinca qualcosa con dei concetti importanti. È sicuramente un disco che ci ha dato una bella spinta creativa.

Quali temi avete percepito più urgenti da comunicare nei vostri testi?

C: Direi alienazione, solitudine… Gli spettri della società contemporanea, anche ego spropositato molto spesso, tutti vogliono dire la propria, esprimersi, mettersi in mostra più che mai. Abbiamo fatto un po’ un analisi sociale in questo disco, parla dell’alienazione contemporanea dettata dai social, dal telefono…

F: Sì, partiamo dal presupposto che il social è una cosa bellissima, l’archetipo di MySpace era una figata perchè potevi trovare amici, potevi ampliare il tuo raggio di conoscenze. Solo che si è arrivati ad un punto di non ritorno; è talmente tanto un mare da essere quasi uno specchio terribile della società, luogo dove si concentrano le brutture, c’è tanta voglia di litigare… Immotivata, forse figlia di noia e indecisione.

Noi con questo disco ci poniamo delle domande, ci auguriamo di regredire ad uno stato un po’ più umano, dove si possa parlare e dialogare in modo più reale, realistico.

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Dopo esservi isolati, anche per scrivere il disco, come percepite Milano come città oggi? Anche considerando quanto sia stata presente a livello di estetica e nei testi, all’inizio del progetto Coma Cose.

C: Noi siamo due provinciali, Milano ci ha affascinati per tanti anni. È una città a cui vogliamo molto bene, è da tanto che ci viviamo e ci ha cambiato la vita.

Però dopo il periodo di isolamento con il Covid ci siamo resi conto che quello che più atavicamente ricerchiamo è la natura, dove siamo cresciuti. È quello che più ci appartiene e ci permette di riconoscerci in noi stessi. Il nostro prossimo obiettivo è trovare un nuovo posto per stare un po’ più a contatto con il mondo.

F: Diciamo che la città è un po’ uscita dal radar creativo, anche perchè la abbiamo raccontata in lungo ed in largo in un momento intensissimo della nostra vita, abbiamo fatto una produzione in cui noi stessi ascoltandola percepiamo la vividezza di quei momenti e giorni.

Abbiamo sempre considerato la musica un diario, così come prima abbiamo vissuto la città in modo così urbano, negli ultimi due anni siamo andati vivere in periferia innanzitutto, la sentiamo meno, come un grande contenitore, però laterale alla nostra vita.

Volevo chiedervi, separatamente, quali sono i vostri obiettivi con la musica

F: Il mio obiettivo con la musica è principalmente farla, io ho 43 anni e faccio musica da 30 anni. Quando penso a me ragazzino che ascoltava e faceva il rap provo davvero un senso di tenerezza, ma anche di lontananza mostruosa.

Ho iniziato a 12/13, ho attraversato molte fasi: la voglia di lasciare il rap ed imbracciare gli strumenti, ho fatto il fonico, il fonico live, avuto mille gruppi, seguito Festival… Una vita devota alla musica ed ora questo è il mio lavoro. Io mi alzo tutti i giorni e sono felicissimo, spero solo che questa cosa continui ad essere un lavoro. Il mio sogno era fare questo come lavoro, mi sento di averlo realizzato, è una vita che mi preparo a questo ed è bello poterlo fare.

C: Per me il contrario, io mi ci sono trovata casualmente. Mi sono buttata in questo progetto perchè ho conosciuto Fausto, ho conosciuto quello che aveva da parte, quello che sa fare. Io venivo da un periodo di vita in cui il lavoro che facevo non mi andava più bene e con tanta incoscienza mi sono lanciata in questo progetto per amore del cambiamento.

Oggi sono qua, sono felice, ho imparato a cantare e sto ancora prendendo lezioni, spero di poter rendere al meglio quello che facciamo, questo è il mio obiettivo oggi.

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Che sapore hanno i momenti di carriera vissuti fino ad oggi come Coma Cose?

F: Sono tante belle soddisfazioni, c’è molta serenità nell’affrontare questo progetto, arriva in un’età già matura, c’è un pregresso di vita che è quello che continuiamo a raccontare. È il pro di arrivare al successo da adulti, avendo tutta una vita da raccontare, rispetto ad arrivare al successo da giovane, perchè la tua vita cambia e distorce la realtà di tutti i giorni, perdendoti delle cose. C’è sempre un contrappasso.

Per noi fortunatamente questa cosa non c’è, abbiamo fatto tanti lavori, tante esperienze; fondamentalmente Coma Cose è il nostro diario condiviso. Un sacco di belle soddisfazioni, pensando anche all’inizio tutte le date, quando suonavamo in 3 ed eravamo un po’ Beastie Boys come formazione, mega Punk, adesso invece abbiamo una band di 8 elementi.

Per me girarmi sul palco e vedere 6 persone che suonano con noi è già una soddisfazione immensa, ogni cosa fatta nella libertà di scegliere cosa e come farla mi ha dato una soddisfazione immensa.

Se ci vogliono è così.

Com’è cambiata la vostra percezione della musica dopo tutti i Tour ed i live?

C: Credo che vedere tanti concerti ti dia una consapevolezza, e voglia in fase di scrittura, di pensare che quella musica la dovrai portare in uno spettacolo, che è una parte molto divertente del processo, c’è quindi sempre uno sguardo al futuro, alla storia da raccontare.

F: È bello perchè quando vai a vedere i concerti prendi anche nota, capisci anche dinamiche nuove ed è avvincente. Veniamo da un’estate intensa e da un anno bizzarro ma siamo sempre stati grandi consumatori di musica live. Credo che anche noi siamo vittime della frenesia e superficialità nell’ascolto della musica contemporanea, il concerto però è un momento in cui dedichi tutta l’energia, quindi artisti anche che non conosci bene riescono a farti vivere una bellissima esperienza immersiva.

Viva la musica dal vivo.

A quale canzone dell’album siete più legati? Perchè?

C: Personalmente amo molto Odio i motori, racconta sia la nostra storia facendo salti temporali tra passato e presente, facendo poi una considerazione più ampia sulla vita. Affronta tanti stili, prima rap, poi cantautorato… Mi piace sotto tutti i fronti, testuale, musicale, la libertà che ci sta dietro senza seguire schemi.

F: Sono contento di aver messo nell’album Sto mettendo ordine, perchè mi spiego un po’ visto che tanti si sono chiesti quale fosse la relazione tra i Coma Cose ed il rap, ho messo un po’ le note a piè pagina, spiegato il percorso pregresso, ma è stato anche utile per psicanalizzarmi.

Conclusioni

Fausto e Francesca sono due persone sincere e affascinate dalla semplicità, aspetti che riportano fedelmente nella musica dei Coma Cose, trovando nella libertà di esprimersi e vivere il loro meraviglioso modo per salvarsi.

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