In occasione dell’uscita del suo terzo album da producer Don Dada ho il piacere di incontrare Don Joe e fare questa intervista direttamente in studio a Milano.
Don Dada si presenta come un’idea di base simile al mixtape, riplasmato come un album vero e proprio, per mettere insieme tante nuove voci del panorama urban italiano (Nicola Siciliano, Sacky, RollzRois, Kid Yugi, Neima Ezza) con i nomi più di esperienza, da Guè a Jake La Furia passando per Ernia.
Siamo partiti da qui per una chiacchiera densa sulla figura del producer, riflessioni sul futuro con l’intelligenza artificiale ma anche una breve parentesi sul passato.
Non aggiungo altro. Questa è la mia intervista alla leggenda Don Joe. Buona lettura.
© Foto di Igor Grbesic
Quando hai capito che era il momento per un nuovo album?
Avevo già in cantiere questi due album che erano Milano Soprano più un altro ancora. Milano Soprano aveva un suo concept preciso e l’idea iniziale era quella di dargli un seguito con episodi su Roma o Napoli ma era molto difficile da concretizzare. Matchava poco.
Così ho deciso di cambiare totalmente viaggio, portare un mixtape presentato più come un album con artisti emergenti per farli conoscere, dare loro spazio insieme a pochi big. Il titolo Don Dada ha questa chiave di lettura: come nella cultura giamaicana io mi sento un po’ padre per questi newcomers.
Questa è un po’ l’idea di mixtape ma confezionata come fosse un album, modo diverso e sperimentale.
Sperimentale anche nel modo di pubblicarlo…
…sì, è stato un esperimento. Abbiamo provato a vedere come potesse reagire il pubblico di Spotify e il feedback è stato, nel complesso, positivo. Sai, molte volte con un album intero si skippano tracce troppo in fretta. Diluendo l’album in questo modo c’è un focus diverso su ogni brano. Secondo me può essere una formula ancora più funzionale con uscite sporadiche o diluite nel tempo.
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In questo “Don Dada” più che negli altri tuoi album hai scommesso su artisti emergenti. Che vibes ti dà lavorare con giovani di prospettiva?
Sono tutti artisti che seguo da un po’. Mi piacerebbe lavorare molto di più sugli emergenti. Ben vengano i così detti big, sempre, ma vorrei seguire con loro. Me ne sono sempre interessato, fin dai tempi di Dogozilla.
Bisogna pur fare anche qualcosa di diverso quindi, perché no, anche un disco per fare scouting. Invece di cercare rapper e artisti emergenti su YouTube o playlist Spotify, ascolti il disco del produttore che ha curato una sua selezione.
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Emergere oggi è davvero così facile come può sembrare?
La tecnologia offre mezzi potenzialmente illimitati con un effort irrisorio rispetto a 10-15 anni fa. Puoi farcela nel minor tempo rispetto a prima. Ci sono tanti strumenti e piattaforme, come i social, che ti permettono di spammare le tue cose. Basta che diventi virale una traccia. Guarda TikTok, ci sta regalando anche gli artisti che fanno successo e numeri. Sta dettando le regole.
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Noti analogie e differenze di approccio rispetto a quando eri tu a muovere i primi passi?
Sicuramente c’è meno quella cosa lì di buttarsi. Oggi i ragazzi molto più bravi a gestire certe situazioni da subito anche perché c’è molto insegnato dal web. Sono mediamente più pronti. È tutto più ragionato e meno istintivo.
Internet ti dà tutta la conoscenza che vuoi ma senza internet dovevi cercare, studiare e non era sempre facile. Vale un po’ lo stesso con Spotify per scoprire musica e artisti in Europa o America. Dovevi cercare il negozio di dischi a fare i digging e diventavi matto! Fare digging significare comprare dischi, spendere soldi. Non sempre te lo potevi permettere.
Oggi è una bella giungla, c’è molta più concorrenza ma anche più attenzione, molti più riflettori sugli artisti. E questo è un bene.
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Anche il ruolo del producer negli anni è stato rivalutato profondamente…
Un po’ mi faccio pioniere di questa scuola perché purtroppo fino a noi (allude ai Club Dogo, ndr) i produttori che c’erano prima, se potevano stare a casa quasi lo facevano.
Quasi veniva dato per scontato…
Eh sì, invece oggi è una figura molto più di spicco. Tanti finalmente sono riusciti a uscire da un guscio. E questo è anche un po’ risvolto negativo e positivo allo stesso tempo come dicevamo prima, ci siamo dentro tutti. Eppure i producer italiani come Mace, ad esempio, produttori di livello, finalmente hanno il giusto spazio per dire la loro.
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Quali sono le skill che un buon producer deve avere perché il connubio con l’artista funzioni? Oltre le doti da psicologo…
Io mi sento psicologo per davvero. Perché prima devi capire quali siano le intenzioni degli artisti, devi studiarli e delle volte faccio fatica a capire cosa vogliono, cosa vogliono fare e dove vogliono arrivare. Hanno tanta energia, tante nozioni ma insieme all’entusiasmo c’è anche tanta confusione.
Le doti di psicologo sono fondamentali. Poi credo che un buon produttore se vuole emergere debba essere originale e avere il coraggio di osare. Io l’ho fatto, me ne sono fregato di cosa andava e cosa no e qualche rischio l’ho corso…
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…com’è stato per il tuo primo album solista, “Ora O Mai Più”. Ricordo che al primo ascolto l’ho percepito abbastanza asincrono. L’ho rivalutato nel anni. A posteriori che riflessione hai fatto su quel disco? Quell’azzardo ha reso nella giusta misura secondo te?
È passato tanto tempo, le generazioni nuove non conoscono se non sono dei veri appassionati e non vanno ad ascoltarla. Diciamo che è rimasto un po’ in un limbo. Secondo me quell’album aveva tanto da dire, lo riproporrei oggi per capire quanto gli venga riconosciuto nel tempo…
Avevi messo insieme nomi grossi del pop insieme a quelli urban…
Bravissimo, era un album con diversi esperimenti: un primo pezzo trap con un artista pop. Penso al singolo con Emma: la gente non ci credeva, mi dicevano tutti Tu sei pazzo, tu non puoi fare una roba del genere. Ora O Mai Più è rimasto così in questo limbo ma è frutto di quella parte di azzardo che serve effettivamente al produttore. È stata una scommessa…
Alla luce di queste considerazioni, allora, cosa deve avere un producer album per funzionare?
Prima di tutto la combinazione dei artisti: devi prendere tutto quello che c’è più reale e nella loro musica, senza mai edulcorare o snaturare. Ti porto l’esempio di Medy nel mio album: non avrei mai potuto edulcorare il racconto della sua storia e del carcere.
Allo stesso modo, ti dico, non puoi anche fare un disco solo di artisti così detti big perché devi saper gestire benissimo tutto. Un bel disco è OBE di Mace perché lì c’è il producer con il suo gusto, le sue skills e ci sono gli artisti che hanno effettivamente dato un bel contributo sulle strumentali. È ben construito, ben prodotto, ben editato. È uno dei dischi di riferimento di oggi.
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Che impatto sta avendo l’intelligenza artificiale nella musica e nello specifico nel tuo flusso di lavoro?
Secondo me è un bene nella musica. Per come uso io l’intelligenza artificiale, questa semplifica un bel po’ di processi, snellisce tantissimo il lavoro. Il lato umano non può mai mancare ma già oggi c’è tanta AI in tutti i plug-in. Io lavoro sempre molto con l’analogico perché mi piace tenere un po’ il polso del progetto che curo. Se facessi un disco totalmente in digitale o con strumenti così penso che risulterebbe un po’ gelido.
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Guardando oggi al tuo percorso artistico ti senti completo e appagato o pensi manchi ancora qualcosa?
Mai sentirsi completi. Sono alla ricerca del El Dorado. Sono uno entusiasta della musica: quando esce nuova musica me la ascolto e cerco di capire cosa, come e perché funziona.
L’entusiasmo è ancora forte, non mi fermo mai. Se non sono in vacanza sono tutti i giorni in studio. Quello è il mio habitat. Ne avevo uno a casa, l’ho sbaraccato altrimenti avrei divorziato ma tutto il tempo che posso, anche solo per rilassarmi, lo trascorro in studio.
Conclusioni: intervista a Don Joe per “Don Dada”
Si conclude qui la mia lunga e densa chiacchierata più che intervista con Don Joe per il suo album “Don Dada”.
Parlare di questo nuovo progetto discografico ci ha dato modo di approfondire concept e idee che lo hanno reso possibile ma non sono mancati spunti di riflessione su argomenti correlati come l’importanza del produttore, il rapporto con gli artisti e i newcomers cui Don Dada vuole dare più risalto.